PRESUPPOSTO
Movendo da detto asserto di ‘astio divino’ l’Uomo ellenico si trova posto innanzi all’ineludibile corollario sentenziante che egli può e deve contare soltanto su sé stesso: niente può sperare da qualcuno a cui dare la Q maiuscola posto in Alto Loco, che non può, all’opposto, che identificare come oscuro nemico sul quale prevalere, intraprendendo quel percorso il quale lo conduce alla meta sopraccennata, sprovvista di storici significativi precedenti: la filosofia: l’indagine attraverso il logos ― la ragione ― di ciò che è e dei motivi di quello che accade; una mutazione decisiva: l’homo sapiens per la prima volta fa pace con il cervello.
Da qui il processo si rivela ― continuando tuttora ad esserlo ― inarrestabile, manifestandosi in quelle conquiste scientifiche inimmaginabili per i mirabili Elleni che le determinarono.
Un contesto nel quale ‘l’Uomo è misura di tutte le cose’ (Protagora di Abdera), in cui è morale ciò che la pόlis ― gli Uomini che la costituiscono ― stabilisce come tale, ed è simmetricamente immorale il contrario; un ambito per sé stesso escludente, rendendola viceversa incomprensibile ché contraddittoria, la nozione di diritto naturale, essendo proprio la Natura (divino) la nequizia a cui contrapporre l’usbergo del Logos (facoltà umana) su visto.
È servendosi della ineluttabile mancanza della completa cognizione (da parte del lettore-uditore) di un siffatto quadro ambientale che si è senza soverchio travaglio riusciti a ribaltare il portato dell’Antigone sofoclea, pretendendo di far ritenere vero che i preposti organi (commissione prima, giurati a compimento) di Atene ― pόlis per antonomasia ― abbiano ammesso al concorso tragico (e il teatro tragico assolveva l’ufficio civico di educare i cittadini — precisamente: organizzato e percepito come ‘luogo ove la pόlis è educata politicamente’ —) fino ― si consideri ― a decretarne la vittoria, un’opera teatrale la quale plaudiva all’inosservanza delle leggi statuali¹; e non è nemmeno tutto, giacché come ulteriore riconoscimento, la città conferí a Sofocle una carica pubblica: un’Atene, pertanto, a dir di costoro, in cui a mezzanotte era pieno giorno e nella quale la pioggia andava da sotto in su.
Si riportano di seguito.
PREFAZIONE [di ANÚTILI E AMMÀTULA¹] DELL’AUTORE
I lettori di REFERTI ANORMALI (o SEPOLCRALI) – la mia seconda silloge di poesie – sanno che non considero l’italiano mia madrelingua, e conoscono anche la mia affermazione: «Io penso in dialetto, quando mi esprimo in italiano sono costretto a tradurre.» A ciò mi premuro di aggiungere: «In una favella per me innaturale ed estranea, ergo ostica e, quello che maggiormente conta, assai poco comunicativa.» Se nessuna lingua è in grado – come in effetti non lo è – di rendere fedelmente l’universo interiore del parlante (la verbalità non è un fatto naturale),
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Dal lemma VURZA* de LA NOBILTÀ DELLA LINGUA GRECA NEL DIALETTO EOLIANO
VURZA – sacchetto che durante la raccolta delle olive, le donne portano legato all’addome per porvi le drupe.
Il vocabolo greco immediatamente rintracciabile è βύρσα – ἡ (býrsa — pronuncia b(i)úrsa —, hē): pelle staccata dall’animale, cuoio, otre — per evidente metonimia — o anche, meno frequentemente, pelle di animale vivo; detto termine mutuò anche il messinese buzza, ossia borsa, e, attraverso il latino, il fiorentino borsa.
Involontaria cogenza, nel trapasso di spirante (s→z sorda), in quanto il nesso rs provoca una sorta di ‘slittamento linguale’, per via della sua posizione nel complesso fonetico della parola — antecedentemente alla mutazione in essa del suono (i)u in pretta u —: evento dal quale appare invece scevro borsa, esibente una salda o — peraltro chiusa: ó — davanti al nesso rs, con funzione di ‘freno’ ostacolante lo sdrucciolamento articolatorio.
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Moneta del conio della Lipari Greca con effigie di Poseidone
SAGGIO DI ETIMOLOGIE
Di seguito un estratto minimo di 30 voci dialettali eoliane di ascendenza greca, selezionate fra gli oltre 700 lemmi della seconda edizione de ‘LA NOBILTÀ DELLA LINGUA GRECA NEL DIALETTO EOLIANO’.
NOTE
1) Nella traslitterazione delle voci greche:
– l’accento, quando ne sia portatore un dittongo, è stato conservato sulla seconda vocale, come è d’uso nella lingua d’origine; il lettore consideri tuttavia che ai fini della pronuncia esso è da intendersi sulla prima vocale (ad esempio: κείρω, traslitterato keírō, va proferito kéiro).
– Il κ, reso con c innanzi a vocale aspra, è espresso con k prima di vocale dolce (di fatto solamente i ) sí da non alterarne il suono il quale è in greco sempre velare.
2) Nella trattazione dei lemmi, con il termine attenuazione si intende il trapasso da occlusiva sonora oppure aspirata ad occlusiva tenue (esempio: d→t).
3) Le volte in cui negli articoli non viene specificato che la pronuncia di υ/γ è (i)u, si intende assunto il proferimento bizantino (=i), ché coincidente con il corrispondente fonema dell’esponente, oppure l’indicazione del modo di pronunciare risulta irrilevante, riscontrandosi nell’esponente un dissomigliante esito timbrico.
4) È peculiarità dell’idioma di Sicilia innestare le uscite di provenienza latina sulla radice, sul tema o piú in generale sulla prima parte della parola, comunque sia formata e quale che sia la lingua da cui derivi.
Riguardo a ciò è opportuno precisare in particolare quanto segue, intorno alle desinenze infinitivali ari, íri ed iri (atona) che è possibile riscontrare nel dialetto siciliano e che ne costituiscono le tre coniugazioni possedute; ed alla desinenza nominale u dei maschili singolari:
– inerentemente alle prime, le uscite del modo infinito latino āre, ēre, ĕre, īre (diatesi attiva), ed āri, ēri, īri (diatesi passiva), alle quali i suffissi infinitivali dialettali testé visti ascendono, sono propriamente terminazioni, in quanto re e ri costituiscono le desinenze effettive, mentre la vocale la quale le precede appartiene al tema (tranne la ĕ di ĕre, la quale è mera vocale di unione tra il tema e la desinenza); caso concreto: admurmurare — ossia bisbigliare —, ove admurmura è il tema e re la desinenza.
– Quanto alla u desinenziale, essa è rinvenibile nella seconda e nella quarta declinazione latine, ove non è però desinenza, bensí appartenente al tema; esemplificativamente: pontus: mare, nominativo singolare 2ª decl., in cui pontu è tema ed s desinenza; laurus: alloro, nominativo singolare 4ª decl., lauru tema, s desinenza.
Non risulta disutile inoltre soggiungere, a titolo di supplemento espositivo, che il tema prisco della seconda declinazione latina esce in o, conformemente all’indeuropeo, al pari della 2ª decl. greca, la quale lo ha invece conservato nelle fasi avanzate della lingua.
5) Attinentemente alle mutazioni o adattamenti timbrici alle tipicità sonore del siciliano, nei lemmi richiamato, ai fini di un inquadramento tecnicamente preciso e complessivo del vocalismo tonico ― caratterizzante nella classificazione degli idiomi ― dei dialetti siciliani, riporto di seguito com’esso si sviluppò dal latino, raffrontandolo con il corrispondente italiano e completando l’esposizione elencando le vocali e i dittonghi greci la cui pronuncia risultò variata in epoca bizantina, nella quale il suono di i fu prevalente.
Concomitantemente mostrasi precipua nel vocalismo atono, la ricusazione di e e di o in sede scema di accento.
6) Il termine fonetica (insieme con fonetico, di cui è retroformazione, e foneticamente) è usato nell’accezione tradizionale e generale di studio dei suoni del linguaggio, non secondo l’orientamento della linguistica contemporanea la quale lo contrappone a fonologia (benché tradizionalmente di fonetica fosse sinonimo) o fonematica o fonemica.
7) Salvo occasionali occorrenze, rimane fuori dagli obiettivi del glossario la resa fonetico-mimetica delle voci dialettali, anche poiché non necessariamente coincidente fra i differenti siti di un territorio articolantesi in sette isole.
Parimenti i segni grafici i quali raffigurano definizioni tecniche quali ‘velare’, ‘palatale’…, vanno evidentemente riferiti a fonemi, non a foni, i quali ultimi in nutrito quantitativo pure ― ma non certo esclusivamente ― per il contributo di estemporaneità fonatorie del parlante, in prosieguo ‘regolarizzate’ dai reiterati uso ed imitazione, possono comportare il cangiamento del locus articolatorio.
8) Essendo intento precipuo della presente ricerca l’individuazione della presenza linguistica greca nell’idioma eoliano, si è rinunciato ad indicare sistematicamente se le voci dialettali risalgano all’ellenica favella per via diretta o per il tramite di intermediari, in ispecie ove ciò risulti controverso.
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Giambattista Tiepolo – Apollo e Diana, 1757.
BAUDELAIRE
Prescindendo da considerazioni attinenti all’idoneità intrinseca di qualsivoglia idioma di esprimere e rendere concetti e idee, sino ad includere sfumature e sottigliezze di ogni altro codice linguistico ― peraltro pacificamente esclusa fino a tempi decisamente recenti ―, scoranti ancor prima che stucchevoli poiché saldamente fuse alle ideologiche mode oggidí trionfanti; conciliando quanto asserito nella PREFAZIONE di ANÚTILI E AMMÀTULA ― vale a dire: da un lato che individuo nel dialetto lipareo la mia madrelingua: la favella utilizzata per qualsivogliano argomenti e materie; dall’altro che la letteratura, giacché espressione d’arte, mal tollera lo stazionamento al di qua del limes del quotidiano eloquio e della didascalica prosa cronachistica ―, seguono, esemplificativamente, i versi de I FIORI DEL MALE di Charles Baudelaire, liberamente tratti da IL VINO DELL’ASSASSINO, inclusi nel sopraccennato ANÚTILI E AMMÀTULA, compiuti in un tessuto dialettale eoliano (accompagnato dalla traduzione in italiano) trapunto da ricami lessicali antiquati e inusitati.
RELAZIONE DI PRESENTAZIONE DI ANÚTILI E AMMÀTULA ― POI RISULTATA VINCITRICE DELLA SEZIONE RICERCA ETNO-ANTROPOLOGICA ― ALLA GIURIA DEL PREMIO LETTERARIO ELIO VITTORINI, IN CUI SONO DESCRITTI I METODI DELL’INDAGINE LESSICALE VOLTA ALL’INDIVIDUAZIONE ED AL RECUPERO DI VOCI DIALETTALI ARCAICHE.
Aula Magna dell’Università di Messina, 11 novembre 2010.
Il dialetto eoliano – secondo la classificazione dei sistemi dialettali italiani dell’italianista, peraltro siciliano, Stefano Lanuzza – è una delle sei grandi branche in cui si divide l’idioma trinacrio, insieme con il siciliano occidentale, il siciliano centrale, il sudorientale, il messinese ed il pantesco (isola di Pantelleria).
Si tratta di un codice linguistico sconosciuto all’orizzonte letterario e questo non è il solo elemento – e nemmeno il principale – a renderlo inusitato, in quanto esso non è quello corrente, udibile oggidí nelle sette isole dell’arcipelago eoliano, bensí l’arcaico: frutto di anni di ricerca pertinace e scavo linguistico.
Ciò rende problematica la comprensione dei versi agli stessi Eoliani e sovente inintelligibili alle generazioni piú giovani.
È un’operazione condotta tanto per la volontà di recuperare espressioni estromesse dalla comunicazione quotidiana